lunedì 26 marzo 2012

Villain Comics [1di5]

Ho scritto tante volte questo post. E' facile parlare del lavoro degli altri, ma parlare del proprio è una cosa decisamente più complicata.

 In un articolo sul suo blog, Mauro Uzzeo diceva che, il momento che preferisce del processo creativo, è l'ideazione quando le immagini si inseguono e si incastrano una dietro l’altra come fosse proprio quello il loro posto. Sono d'accordo con lui e, come nella creazione di una sceneggiatura, fondare un'etichetta come la Villain Comics ha il suo momento più divertente e più alto nell'ideazione. Nello stesso modo però c'è un abisso tra ideare una storia e mettersi a scriverla, i tempi e il ritmo di un soggetto vanno inevitabilmente a scontrarsi con lo spazio e i tempi della sceneggiatura.

La Villain Comics nasce in viaggio, in viaggio di ritorno da Mantova, una delle mie prime fiere di fumetto, sicuramente la prima da aspirante autore. Io e i miei "colleghi" eravamo degli esordienti molto naif, convinti che una volta letti i nostri soggetti e le nostre sceneggiature, gli editori si sarebbero assiepati ai nostri piedi con i contratti stretti nel pugno e levati al cielo, come in una specie di seduta della borsa.
A onor del vero ci bastò poco a capire l'andazzo del mercato. Tutti si sperticavano in complimenti, tutti avevano una gran voglia di pubblicarci, ma tutti, allo stesso modo, non stavano cercando nuovi progetti. La frustrazione maggior però non derivava tanto dai rifiuti, eravamo pronti a quelli, quasi li desideravamo. Il vero dramma era il silenzio. Infatti da quella Mantova di quattro anni fa ad oggi si sono accumulati nei nostri curriculum una lunga serie di silenzi. Le case editrici da fiera non rispondono di no, non ti consigliano di trovarti un posto da statale, lasciare il fumetto per darsi al giardinaggio o rilevare un club di bocce. Nessuno ti accenna a quali siano i problemi che ha la tua sceneggiatura, semplicemente, una volta consegnato il tuo plico confezionato con l'amore raffazzonato che solo un esordiente può dare al proprio lavoro, segue un lungo interminabile silenzio. Perché non dicono di no?
Ho lavorato per un po' in una casa editrice e, quando leggevo un romanzo che proprio faceva schifo, inviavo una sorta di prestampato in cui facevo presente che ci spiaceva, ma l'opera non si attagliava alla nostra linea editoriale. Per la legge del contrappasso mi aspettavo di ricevere le stesse lettere e di riconoscerle con una stretta al cuore. Ma la cura del silenzio è decisamente peggio ed è sintomo di un mercato morto, che non ha tempo di curare la nuova generazione.

Ma mi sto perdendo, parlavo di quel magico momento in cui si passa nella fase di ideazione di un progetto.
In questo, tutto è nato in quella macchina diretta a Roma dopo la sconfitta di Mantova.
Me ne stavo lì con i miei amici, le cartelline con i progetti (che nessuno si era degnato di leggere) sulle gambe e una grande voglia di fare tutto da me. Avevo davvero voglia di mandare affanculo tutti gli editori che mi servivano bibitoni di impassibilità e fare tutto io.  Letterare, impaginare, pubblicare, vendere, distribuire, il mio lavoro. E alla fine l'ho detto ad alta voce, in quella macchina piena di persone che conoscevo da poco, ma già stimavo. Con mio grande stupore erano tutti d'accordo, dovevamo mettere su una piccola casa editrice, letterare, impaginare, pubblicare, vendere e distribuire il nostro lavoro.
Di lì a poco, molti autori pubblicati dagli stessi editori che ci riservavano la cura del silenzio, sarebbero venuti fuori proprio grazie alle autoproduzioni, ai loro blog, alla rete. Eravamo pronti, eravamo carichi e avevamo un sacco di idee...

Ma i tempi e i ritmi di un soggetto non sono gli stessi di quelli di una sceneggiatura e, allo stesso modo, i tempi e ritmi di un'idea, non sono gli stessi della realizzazione della stessa.
Sono passati quattro anni e ormai l'idea sembra essersi concretizzata.

Continua...

MM

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